martedì 6 novembre 2012

A Bernardo Bertolucci


Sapete una cosa? Certamente di scarsissima importanza. Ma a me dei Sallusti, delle Santanchè, del Trota e di quello che dice, di Maroni, del Clown, di Formigoni e delle sue eccellenze, dell'ironia "intelligente" di D'Alema, della Gelmini, della Polverini e le sue o condivise ostriche, di Alemanno dal cuore nero candeggiato, dei Renzi di adesso e di probabilmente dopo e mille altri fino al ridicolo di Scilipoti, non mi interessa più niente.
Non voglio che il mio impegno culturale e politico sia strumentale alla loro popolarità. 
Di conseguenza, pur nel buono di alcune trasmissioni che seguo con passione e cuore, quando vedró tra gli ospiti uno di questi spegnerò la televisione o i vari streaming, mi dispiace per i "buoni", ma leggerò, scriverò, sistemerò foto, coccolerò i miei gatti, cucinerò cose semplici e spero buone, parlando con le persone.


Era il 1980, forse l'81, non rammento bene l'anno ma ricordo dove ero, in che situazione e con chi.
A Parma, anzi meglio, a Torrechiara. Nella zona appena prima di Langhirano, dove si fanno prosciutti e salumi e vedi lunghi e alti edifici bianchi con mille finestre che si aprono e chiudono come girasoli verso le brezze delle colline, disegnate da filari e foschie, per respirare l'aria indispensabile alla giusta stagionatura.
Ero in una villa realizzata da un capace e "cortese"  architetto che si era ispirato per la progettazione al Castello del luogo. Vedetta silenziosa e sentinella di quelle terre da secoli.
Stavano girando un film, il regista era Bertolucci. "La tragedia di un uomo ridicolo".
Non uno dei suoi film migliori, acuto però nell'analisi dei personaggi come sempre.
Ugo Tognazzi, vincitore della palma d'oro a Cannes come migliore attore protagonista, nei panni di Primo Spaggiari, pur con qualche maschera di troppo, era credibilissimo. La voglia del personaggio di emanciparsi dagli odori dei caseifici, usando la ricchezza della sua casa e una moglie straniera ed elegante era, almeno al tempo, uso comune di coloro che, dopo essersi arricchiti nei modi più diversi, desideravano avere un "ritratto" un profumo nuovi.
Tra le righe della interpretazione di Tognazzi si percepiva a volte che pensava, secondo me, ad un altro film da lui girato nelle zone emiliane, dieci anni prima, "La Califfa", con la splendida Romy Schneider.
Un certo tipo di donna che, ne sono convinto, piace sicuramente molto anche a Bertolucci.
Le donne di Bertolucci sono in fondo quelle che scardinano i luoghi comuni degli uomini, le loro certezze e spesso, l'apparente fragilità con cui si propongono, nasconde una visione ed una profondità che va oltre gli eventi confondendo tempi e situazioni.
Qui ci sono una "Penelope" contemporanea con il corpo ed il cuore di Anouk Aimèe ed una Laura Morante di una bellezza selvaggia: Un anno prima che lavorasse con Moretti. 
Ma non è di questo che voglio parlare.
Volevo descrivere solo un istante di un regista, del suo modo di pensare e di vedere cose che altri non riusciranno a vedere mai sia sul set che al cinema, ma che contribuiscono al risultato completo del film.
In una selva di cavi, torri e riflettori, di gente che correva seguendo mappe e tracciati sconosciuti si stava preparando la scena in esterni del dialogo tra due personaggi in piano americano.
L'occhio di Bertolucci era incollato alla macchina da presa cercando il taglio migliore.
Sospese ogni azione e comunicò al suo aiuto di cosa aveva bisogno.
Io me ne ero accorto, avevo capito, lo avevo visto.
Non era un passaggio fondamentale per il film. Una inquadratura di pochi secondi.
Ma ogni cosa, ogni singolo dettaglio doveva essere perfetto e previsto nella misura in cui la cosa è praticabile in una visione artistica imperfetta ed oltre.  
Ha spedito un assistente ignaro, munito di radio, sulla collina di sfondo, circa 4/5 chilometri da dove si stava girando. Aveva visto un trattore che arava e voleva assolutamente comandare che questo transitasse tra i due volti in dialogo marcando duramente il solco profondo della incomunicabilità delle parole che i due attori dovevano recitare.
Secondo me è stato un colpo, tra tanti nei suoi film, di genio visivo. Probabilmente inutile dettaglio per ogni critica sul film nel suo insieme ma la prova concreta della differenza evidente tra un grande Regista e i professionisti della pellicola. Mi ha ricordato Ford. Che attendeva la nuvola giusta alle spalle dell'attore per riprendere uno sguardo.
La stessa sera, in un cinemino di Parma, il D'Azeglio, un cineforum, al tempo gestito da un prete, lontanissimo parente acquisito, davano Apocalypse Now di Coppola, con Storaro direttore della fotografia.
Io sono andato a vederlo. La sala era quasi vuota, il modo migliore per godere un film.
Nelle prime file però erano seduti alcuni membri della troupe.
Questo è vero amore per il cinema.
Lavorarci tutto il santo giorno e poi alla sera andare al cinema.
Qualche mese dopo, passo a pranzo da mia madre.
Mi dice appena entrato: ti ha cercato un certo Bernardo...!?
Io le rispondo: Bertolucci!
E lei replica: Ma chi? quello che ha fatto "novecento"?

La Storia, come tutte le storie è andata avanti,  non nei modi che avrei voluto.
Ma questo non è importante.