lunedì 14 ottobre 2013

Attraverso il velo della distanza tra la mano e la chiave
tra la serratura e la maniglia della finestra.
Apro usci e vetri, faccio spazio vicino al muro
nell'angolo più lontano del giardino.
Sposto sassi, foglie, rametti, catalogandoli in un album senza elastici e spirali.
Così come vengono, su fogli ingialliti e dai bordi irregolari.
Non ho una fiammella per fondere la ceralacca e chiuderli in una cartellina.
Rimangono raccolti ma liberi. Liberi di decidere a quale vento abbandonarsi.
Con il loro peso variabile, i residui di terra, di clorofilla, di inchiostro.
Non servono scale per raggiungere
e superare i cocci di vetro
cementati sul colmo dei muri.
Ci si vola sopra se si vuole veramente, come delicati aquiloni.
Poco importa che si strappino fili e si graffino i colori.
Come i fogli racchiusi che attendono il vento giusto per librarsi e cantare i loro alfabeti.
Senza preoccuparsi dei rischi e delle minacce dei roseti di spine di sotto.