venerdì 23 maggio 2014


Ci sono istanti nella vita,
brevissimi, fragili e inconsapevoli,
dove ti sembra di essere nel mezzo di una minuscola stanza,
con quattro finestre aperte verso i punti cardinali.
Vedi lucidamente il passato,
il presente sui lati e comprendi per sfumature e qualche timore
il futuro che ti aspetta.
Quando ti senti accarezzare il volto con amore,
accompagnato da uno sguardo dolce e profondo, netto,
cogli tutto il distillato crudele del passaggio del testimone della vita.
Che sia bella, brutta, fatta di sogni e di ricordi poco importa.
Tutta la sua essenza sta in un semplice gesto,
inspiegabile e prezioso, eterno ed unico.
Ho capito che forse si resiste per questo...
Ho compreso che gli impegni, le corse, i calcoli, i progetti,
le mille mancanze ed incertezze
valgono nulla nel confronto con lo sguardo e il tocco vellutato
delle dita ancora bellissime
di chi ti conosce bene,
ti  ha amato chiunque tu sia e cosa tu abbia fatto.
Ieri parole, oggi silenzio.
Ieri tentativi, promesse, incontri, sorrisi e stanchezze, discussioni ed abbracci...
oggi non più.
Domani sarà da una parte troppo tardi per tutto
e dall'altra una finestra spalancata sul nuovo.
Si alzano lenti dei suoni, emergono immagini,
si ricompongono quadri semplici e privati,
spuntano echi di risate e si diffondono profumi.
Piccole tessere di una vita che si è snodata per decenni
e che ora scorre come fotogrammi di un film privato.
Dalle geografie alle stanze, dai pensieri alle parole,
dalle discussioni alle pacificazioni
comprendendo che siamo e resteremo sempre
una somma di chi è stato, di cosa abbiamo cambiato
e del buono che abbiamo salvato.

mercoledì 7 maggio 2014

Ferrania


C'è stato un tempo, abbastanza lontano, dove i sogni divoravano una grande parte del mio modo di pensare e di relazionarmi con il mondo. Immagini, pensieri, libri, città e paesi, educazione, esperienze, deserti, paure, animali, insegnamenti rifiutati poi rivalutati, amici traditori e amici traditi, persone, donne amate e donne lasciate e donne che mi hanno lasciato.
Il tarlo, silenzioso, costante e lavoratore, scavava gallerie nei tronchi delle convinzioni, degli entusiasmi senza alcuna sosta e senza alcuna intenzione di far crollare il mondo, nella sua legittima corenza e nel suo umile lavoro.
Frasi ascoltate nei bazar e in famiglia quando, durante i festeggiamenti della cresima, si lanciavano in cielo missili ad elastico e scendevano dondolanti con un paracadute di carta che magicamente si apriva.
Nonni, genitori, fratelli, cugini, zii, intorno a tavolate sulle colline, che esprimavano le loro soluzioni come unica possibilità per il paese e per noi, piccoli ed insignificanti attori di una realtà futura non loro.
Lo zio, vendeva ciclostili, sollecitava mio padre a parlare inglese non per gratificarlo, ma per cogliere l'errore, lui che pensava di saperlo. Mia madre che si sfilava, la nonna che scuoteva la testa.
Il nonno, vestito completo, panciotto ed orologio a cipolla Longines con catenella, sedeva a capotavola senza dire una parola.
Pittore, incisore, grafico, fotografo.
Ha collaborato ai calendari illustrati promozionali delle fabbrichette di allora, per la pasta, barilla compresa, dei profumi, come borsari.
Che ha visto due guerre, compresa quella d'Africa.Che ha rifiutato la tessera fascista, raccogliendo in un sacchetto, come caramelle, le critiche aspre di mia nonna.
Ma lasciamo perdere i quadretti familiari come quello di mia nonna che mi aveva convinto a vedere figure, come con le nuvole, nei segni che si lasciano nei lavelli. Era malata ed io non lo sapevo.
Avrei centinaia di questi fotogrammi, tutti veri, tutti onesti.
Questo nonno, a sorpresa mi ha regalato una macchina fotografica.
Pesante, con le ghiere dure da manovrare, con un mirino piccolo piccolo, ma eccezionale, bellissima.
Nulla da invidiare alla grande Leica di mio padre sulla quale mai ho potuto mettere mano. Sparita nel nulla.
Una Ferrania, ottiche Galileo.
Lì ho cominciato a guardare attraverso un mirino, senza sparare un colpo, ma osservando.
Lì sono stato contagiato da una meravigliosa malattia.
L'osservazione accompagnata da un silenzio rispettoso.
Lì ho cominciato ad amare gli odori, il rumore delle vasche, la magia della camera oscura.
Il peso dei contenuti, l'importanza dei dettagli, dell'attimo.
Esserci, capire, possibilmente pronto a cogliere.
A volte rapito da cose che nessuno vedeva.
Spesso non è accaduto. Qualche volta sì.
E quando è successo, andando in giro in bicicletta, con la macchina che pesava sul collo, tornavo con quella gioia interiore difficile da spiegare e tutta mia.
Questa passione è diventata la mia arte.
Mi ha portato lontano e mi ha anche fatto domande pesanti alle quali non ho dato sempre la risposta giusta.
Ma di risposte sbagliate è pieno il mondo e si occupa gran parte del tempo a trovarne le giustificazioni.
Continuo a far foto, faccio qualche rara mostra, sempre però con la nostalgia delle mani bagnate, del filo e delle mollette dove gocciolano anche foto sbagliate.
Non ho mai usato photoshop e i mille programmi che servono a migliorare ed abbellire.
Non fotografo tutto. Ho bisogno dell'emozione che pesa decisa sul dito che preme.
Non mi faccio problemi se possa piacere o non piacere.
Non scatto per un progetto.
Quello viene piano piano sondando le profondità che mi hanno messo davanti ad un muro, un ramo, un uomo.
Faccio lavori certo, ma il più delle volte corrono via.
Come mio nonno che disegnava bozzetti pubblicitari ma si sentiva impressionista.
Sono contento di tutto ciò.
Mi ha sostenuto in tempi duri.
Non ho avuto guerre. I treni vanno, un panino e un bicchiere di vino si trova.
Un libro lo puoi avere tra le mani.
Un cane, un gatto, (ho entrambi), sono contenti di vederti ogni volta.
Qualche amico esiste.
Qualche sorriso lo incontri sempre ed è un miracolo bellissimo.
Continuerò quello che credo di essere capace di fare.
Grazie Nonno che mi hai dato la tua fotocamera e grazie Mamma che hai testato la mia convinzione intralciandomi ogni giorno.
E' amore anche questo.
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