lunedì 2 dicembre 2013

Cosa dire?


Spesso arrivo al punto di non sapere più cosa dire.
Sono soffocato da chiacchere, promesse e chiarezze prima e poi elenchi di argomentazioni, giustificazioni per salvare una faccia anonima in una folla di facce anonime mentre il mondo continua ad andare avanti fregandosene beatamente di noi tutti, cercando disperatamente di sopravvivere ai nostri attentati, rispettando le sue regole semplici ma superiori, insufficientemente convinto di essere migliore di ognuno di noi.
Lo è.
La grandezza sono convinto non faccia parte dell'umano agire, perchè in ogni cosa, superata la prima fase di euforia onesta, ogni passo successivo viene monetizzato, non nel senso stretto di "denaro" ma nel significato di ruolo, potere, riscontro, influenza, fama.
Adesso si potrebbe declinare anche con inviti, mi piace, ritwittazioni varie.
Sono così stupido da pensare che un mondo di poeti sarebbe migliore per tutti, ma nella realtà, nella storia non è stato così e non sarà mai così.
Ma sono gli unici a vedere il mondo come è veramente, ed anche nella disperazione, trovare uno scorcio, un angolo, un lampo in grado di dare senso ad una sola parola del loro dire.
E' una di quelle sere dove non sopporto, come dice Gaber " il buon senso comune", il fatalismo, la lacrimuccia di circostanza anche se sincera, la cattiveria ( perchè di ciò si tratta) delle "persone perbene", dei precisi, dei puntuali nelle critiche, che danno "buoni consigli incapaci più di dare cattivo esempio".
Una delle frasi che meno sopporto è " E' sempre stato così".
Odiamo la bellezza vera in molte delle nostre manifestazioni, amando bellezze inesistenti e finte che ci appagano temporaneamente e ci affamano di qualcosa che non sapremo mai.

E' meglio che smetta qua,  il silenzio è così pieno di anime...
 Fanculo mondo.   



mercoledì 13 novembre 2013

Frammenti e calcinacci

Cimiteri di macchine.
Depositi e rottami. Lavatrici inutili.
Orbite vuote di fanali ammaccati.
Cani legati a catene scorrevoli su lunghi cavi di metallo nello sporco di discariche abusive.
Tappeti di lattine, bottiglie, fogli di riviste pornografiche.
Orti grigi curati da anziani infelici.
Fabbriche di coloranti, di gas, di adesivi...
con operai, provvisti di mascherine, che si trascinano lavorando per prodotti che mai verranno visti nelle pubblicità.
In mezzo a tutto questo desolante paesaggio,
con lontano alti palazzi di cristallo dai doppi vetri,
accampamenti di zingari, piccoli circhi dal tendone sporco e strappato.
Vecchi manifesti e un cavallo bianco con la testa abbassata,
legato al carro del domatore.
E silenzio.
Dio... che silenzio povero che c'è intorno.
Quel silenzio cieco dove si compiono i peggiori e feroci delitti,
quelli che hanno come vittima unica la speranza, senza nessun testimone interessato.
Appena si avverte un rumore insolito, un timido scricchiolio di un ramo secco calpestato,
le porte incardinate nella nostra mente, scattano e si bloccano chiuse.
Come le paratie stagne di un sommergibile in immersione.
Non lasciano passare nemmeno un filo d'aria.
Senza considerare che il cane legato, il povero cavallo bianco hanno bisogno di aria.
Anche la prostituta dietro la finestra 286 del palazzone squadrato appena prima della stazione
ha bisogno di aria.
Noi abbiamo bisogno di aria...

"buio in sala. Il silenzio ora è teso. 
Pochi secondi e si percepisce il rumore monotono di un vecchio proiettore che si mette in funzione e con esso lo sfarfallìo di una proiezione dalle immagini lattiginose ."

(continua)

  

lunedì 14 ottobre 2013

Attraverso il velo della distanza tra la mano e la chiave
tra la serratura e la maniglia della finestra.
Apro usci e vetri, faccio spazio vicino al muro
nell'angolo più lontano del giardino.
Sposto sassi, foglie, rametti, catalogandoli in un album senza elastici e spirali.
Così come vengono, su fogli ingialliti e dai bordi irregolari.
Non ho una fiammella per fondere la ceralacca e chiuderli in una cartellina.
Rimangono raccolti ma liberi. Liberi di decidere a quale vento abbandonarsi.
Con il loro peso variabile, i residui di terra, di clorofilla, di inchiostro.
Non servono scale per raggiungere
e superare i cocci di vetro
cementati sul colmo dei muri.
Ci si vola sopra se si vuole veramente, come delicati aquiloni.
Poco importa che si strappino fili e si graffino i colori.
Come i fogli racchiusi che attendono il vento giusto per librarsi e cantare i loro alfabeti.
Senza preoccuparsi dei rischi e delle minacce dei roseti di spine di sotto.



martedì 17 settembre 2013

La Barca


Abbiamo sollevato una barca, una nave.
Orgoglio italiano!
Sarebbe stato meglio che l'orgoglio italico si fosse manifestato nel non andare a naufragare e uccidere persone. In regole precise e controlli accurati, puntuali.
Sto immaginando uno scenario simile a Venezia con quei giganti stile Mac Donald che attraccano vomitando turisti lungo Riva degli Schiavoni.
Orgoglio italiano che si vanta nel mondo sollevando il dinosauro del pressapochismo, della superficialità, del degrado delle responsabilità costando pure una somma spaventosa.
E in tutto questo spettacolo di tecnologia, di sorrisi compiaciuti, di dichiarazioni e dirette si dimenticano le cose importanti e fondamentali.
Esattamente come i meccanismi perversi della politica e relativa informazione televisiva compiacente.
Ieri la nave oggi forse il messaggio televisivo a reti unificate di un pregiudicato.
Finito il primo tempo, un intervallo di calici, poi il secondo tempo.
Caccia esasperata della notizia.
Quella selva di micorfoni marchiati sotto la bocca di certe persone mi ricordano il circo, lo zoo.
Nemmeno le scimmie si accaniscono così tanto per le banane.
ma torniamo al punto.
Abbiamo sollevato una nave in diretta, abbiamo dimostrato tecnologia e capacità
( bisogna sempre comunque guardarci dentro per capire chi e come), quindi sono possibili altre cose.
perchè non salviamo Pompei? Perchè decine di chiese di Napoli cascano a pezzi e sono derubate di ogni tesoro per ritrovarli nelle aste in giro per il mondo? Perchè il territorio dopo due gocce d'acqua sanguina?
perchè gli asili crollano sulle teste dei bambini? Perchè si muore negli ospedali  per scarsa attenzione? Perchè le scuole sembrano edifici occupati? perchè vengono tagliati trasporti e negozi chiudono?
Perche le fabbriche chiudono senza la minima mobilitazione?
Perchè le "eccellenze" non lo sono? perchè gli artigiani muoiono senza trasmettere ai posteri,con danni irreparabili alla cultura, la loro sapienza e l'anima di un paese?
Perchè i terremoti e gli incendi ci sorprendono?
perchè si continua a costruire quando esiste mezzo paese sfitto?
I perchè sono tanti e irrisolti.
Mettiamoci una cravatta, un paio di tacchi a spillo e sfoderiamo il nostro sorriso migliore quando serve, sicuri che nulla cambierà perchè sono cose sempre troppo grandi e stiamo invece davanti alla televisione ad ascoltare Piazza Pulita, In Onda, Ballarò, Servizio Pubblico, La Gabbia... e mille altri, sicuri come sempre di cosa sia giusto o sbagliato.
Sulla carta, su facebook, su twitter e quasi mai nella vita.

giovedì 2 maggio 2013

Fatti.

Sempre più spesso si leggono notizie sui giornali e si ascoltano in televisione fatti di disperazione e suicidi, di abbandoni e crudeltà. Di atti di follia. Contro sè stessi, contro bambini, mogli, compagne, genitori, animali.
Terribili cose che colpiscono come martelli pesanti il cuore e i pensieri.
Fatti che scatenano indignazione, condanne, paura, solidarietà immediata, critiche, accuse e cori di commenti e partecipazione che spesso evaporano come nebbia al sole.
Come se quanto ogni volta accade non abbia una storia, una faccia che si incontra per strada ogni giorno quando vai a comprare il pane o i giornali. Non abbia il suono sgradevole di  urla da finestre chiuse, di pianti frequenti. Il buio di porte troppo spesso sprangate. Di catene troppo corte nei giardini e nei cortili.
Come se tutto possa accadere da un giorno all'altro, senza segnali, senza profumi e suoni.
Io penso che non sia così. Penso anzi che molti dei fatti terribili che accadono e angosciano mandino volenti o nolenti dei segnali di fumo molto visibili. Il fatto è che il più delle volte si gira la testa dall'altra parte, si chiudono le orecchie.
Si vuole fermamente credere che le cose si aggiustino da sole.
Invece no.
Condividere condanne anonime in mezzo ad una folla di parole è onesto ma anche più facile che alzare la propria unica voce nel silenzio rimbombante del deserto delle opinioni e delle reazioni.
Io credo che l'uomo stia diventando cieco nei confronti dell'umanità, degli altri, riconoscendo che è comunque meravigliosamente in grado, ma sempre più raramente, di esprimere miracoli.
Quando muore un bambino in questo "patinato" occidente, "primo" mondo, è veramente terribile.
Vengono le lacrime agli occhi con  sincera, profonda e sofferta condivisione.
Quando muoiono migliaia di bambini ogni anno per la siccità in Africa o sotto le bombe siriane o afghane è un dramma statistico. La terribile definizione di "vittime collaterali" è entrata nel gergo comune dell'informazione e purtroppo del pensiero.
Quando viene uccisa una donna in una famiglia malata è un delitto ignobile. Vile e codardo di uomini che spesso lavorano, vanno al bar a ridere con gli amici, si vantano e si credono quello che non saranno mai e pretendono ciò che mai avranno diritto, il rispetto.
Quando sentiamo guaire un cane o miagolare in modo strano un gatto pensiamo il più delle volte che sia la natura.  
Quando ascoltiamo le urla in case vicine, più spesso chiudiamo le orecchie con doppi filtri per non sentire piuttosto che prendere in mano un telefono.

Non voglio nemmeno prendere in considerazione l'aspetto morboso e vigliacco di una buona fetta della popolazione che fa gite curiose o si appassiona a fotografie, plastici, alla ricerca di una ragione inutile e volgare e di una certa informazione, peggiore del suo pubblico, che la asseconda.
Ancora peggio chi, per difendere posizioni, privilegi e ruoli servili, ne sfrutta l'aspetto emotivo e politicamente mediatico.

Amen.

venerdì 12 aprile 2013

Briciole


E' come raccogliere le briciole dalla tovaglia dopo la cena.
Con la mano aperta spazzolo lentamente la tavola, raccolgo nel palmo i piccoli resti, apro la porta, esco e li appoggio su un davanzale o sul tavolino.
Consapevole di essere troppo stanco per alzarmi l'indomani e vedere in tempo reale chi potrebbe approfittarne.
E' diventata una mia abitudine con qualunque stagione.
Ho riflettuto sul fatto che se esiste una abitudine, mia, volontaria e che riceve risposte, (la pulizia minuziosa che trovo al mattino) creo delle attese.
Ci sarà qualcuno, provvisto di ali, che ha fatto i suoi calcoli ed invece di volare il lungo ed il largo affidandosi ad una fortuna quotidiana non certa, consumando energie quando è freddo oppure piove, decide di concentrarsi sulla costruzione del nido sapendo che ha un indirizzo dove potersi alimentare.
Trovo questa una splendida responsabilità che impegna ad una continuità di pensiero, memoria e azione.
Si potrebbe pensare che costruire una piattaforma ed allagarla di semini,quando non ci si è ogni giorno, possa essere una soluzione.
Ho verificato che non è così.
Arrivano in tanti è in pochi minuti tutto scompare e chi faceva i suoi conti sulle crosticine di pane non trova più niente.
Le briciole sono senza dubbio parte di un rapporto.
Senza clamori, senza esagerazioni.
Le briciole sono azioni silenziose, sono pensieri e domande e scarse risposte che tentano di essere comunque oneste.
Diffido delle grandi soluzioni, dei progetti di intervento, di motivazioni contingenti.
Penso che stiamo attraversando un periodo di grandi cumuli ovunque di semi anonimi.
Un saltellare da una mangiatoia all'altra con pali e paletti, casette, colori scelti in base a stili e mode passeggere.
Oggi si fanno donazioni seduti sul divano con un sms da due euro, un semino.
Va bene tutto, tutto è utile.
Oggi si può firmare qualunque petizione. Un nome, una mail, stando seduti su una comoda seggiola esattamente come altri stanno incollati sulle loro poltrone e parlano di responsabilità, di lavoro,di Paese. altro semino.

Quante cose possono partire da due briciole senza poi arrivare da nessuna parte.
Mi alzo presto al mattino e verifico che chi stava costruendo un nido contando sul palmo quotidiano più non passa.
Io non avendo ali, rimango inutile vicino al davanzale ed al tavolino.
Chi non si fida più, provvisto di ali, è ritornato alle sue ricerche quotidiane.
Mi auguro che siano sempre fortunate.

lunedì 11 marzo 2013

Reno


Ieri, nella nostra passeggiata serale, abbiamo visto galleggiare, morta, una delle anatre che affollano la placida ansa del Reno vicino ad un ridicolo ristorante cinese. 
Aveva il collo lungo, disteso. La testa immersa e le zampe raccolte rivolte al cielo sempre più grigio.
Pareva un pupazzo di gomma rotto, abbandonato da un bambino frettoloso stanco di giochi muti.
Non lo era.
Il compagno continuava a nuotarle accanto, in circolo, in attesa di un segnale ai suoi richiami per raggiungere insieme la postazione notturna.
Niente.
Solo i tonfi sordi sui massi dello sbattacchiare delle onde di chiatte che incrociavano nel mezzo.
Avrebbe passato l'intera notte li' accanto, seguendola, sgolandosi prima di andarsene, senza forse mai capire.
Niente potevamo fare, se non osservare, condividere.
Mi sono acceso una sigaretta e abbiamo proseguito verso la notte in discesa mentre una morbida corrente accompagnava il suo corpo.